Il licenziamento come forma disciplinare è una misura estrema e se ne prevedono due forme: un licenziamento per giusta causa, attuabile nel momento in cui si manifestano fatti gravi da rendere impossibile il proseguimento del rapporto lavorativo; ed il licenziamento per giustificato motivo, quando si verificano eventi per cui l’azienda è costretta al ridimensionamento del personale.

Nel licenziamento per giusta causa, deve essere dimostrato il dolo o la colpa grave del soggetto che s’intende licenziare e la giurisprudenza ha stabilito che l’onere della prova, spetta al datore di lavoro. Ad affermarlo è una sentenza della Corte di Cassazione n° 12882 del 9 giugno 2014, che si è espressa, in merito al licenziamento operato da una datrice di lavoro che si era vista dichiarare illegittimo, il licenziamento di una sua dipendente, sia in primo grado che al secondo.

In questo caso, la lavoratrice, operando occasionalmente come cassiera, non ha riscosso un pagamento di una cliente del supermercato, permettendole di abbandonarlo con la spesa, in quanto non aveva sufficiente denaro e la carta di credito scoperta.

I giudici avevano ritenuto che la condotta della lavoratrice non era dolosa e che non essendo impiegata costantemente alla cassa, ma  considerato che in quel momento stava sostituendo una cassiera assente, l’errore commesso non era tale da concepire il licenziamento, ma è da considerarsi una svista.

Il comportamento minimo esigibile per chi svolge mansioni di cassiera di un supermercato è quello di richiedere, dai clienti, il pagamento della merce prelevata o di pretenderne la restituzione qualora  il pagamento non fosse effettuato.
Di conseguenza, la Corte d’appello, ritenendo non provate né il dolo né l’intenzionalità della condotta, ha affermato che si era trattato di un “mero errore materiale”, che può certamente iscriversi alla fattispecie della colpa lieve, senza però spiegare perché fosse esclusa anche l’ipotesi intermedia, ossia della colpa cosciente.